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Conclusione della Causa di beatificazione 24 gennaio 2010 ( Articolo di Gabriella Passariello)
 
 

Catanzaro-A tredici anni dalla morte di Nuccia Tolomeo, ieri 24 gennaio 2010 nella Chiesa di San Giuseppe, proprio a 100 metri di distanza dalla casa dove lei aveva vissuto per sessanta anni,la chiusura dell’inchiesta diocesana della causa di beatificazione di una donna che ha fatto della preghiera e dell’amore verso il prossimo le ragioni della sua vita.

aI documenti cospicui, le testimonianze e i 5 volumi degli scritti editi di Nuccia e su Nuccia, sono stati sigillati, dopo la lettura del decreto di chiusura da parte dell’arcivescovo metropolita di Catanzaro- Squillace Antonio Ciliberti e i giuramenti prestati dalle parti in causa, pronti a partire per Roma per essere consegnati alla Congregazione per le cause dei Santi. Faldoni richiesti nel 2007 dall’arcivescovo Ciliberti per poter dare inizio a quel processo di canonizzazione che lo stesso arcivescovo ha ritenuto "utile, opportuno, doveroso". Già Paolo VI di fronte al relativismo diceva che oggi abbiamo bisogno di testimoni. E Nuccia ha testimoniato con la sua vita che la sofferenza è la via che conduce alla gioia, perchè gioia e sofferenza sono le due facce del dono preziosissimo della vita. Nuccia era una donna di fede, di speranza e di carità, perché ad imitazione di Cristo visse la sua vita in una dimensione di  offerta e di dono, pienamente inserita nel mistero di Dio che è amore. Un filmino con la voce di Nuccia è stato fatto sentire ai numerosi fedeli accorsi in chiesa per l’evento, un video che parla di carità, dei carcerati, degli abbandonati e anche della sua stessa sofferenza che Nuccia ha vissuto come un miracolo d’amore. "Se Dio ha permesso questo è perché Lui ci vede un bene che noi non conosciamo. La sofferenza va accettata con mansuetudine e offerta, perché è dono. Offrite con amore tutti i disagi, le sofferenze quotidiane, non lamentatevi, non imprecate, ma lodate il Signore". Parole di forza, di fede soprattutto se pronunciate da una donna che ha vissuto la sua vita nel dolore, in un corpo disabile fin dalla nascita, contorto da una paralisi progressiva deformante che le aveva spostato la posizione di tutti gli organi interni e che la costringeva a stare in un letto quasi immobile. Da anni non riusciva a muovere nemmeno le braccia, le sue mani erano debolissime e riuscivano a stringere solo la coroncina del Rosario. Tra le dita le mettevano una penna e con l’aiuto di una cugina che le spostava i fogli, con grande fatica rispondeva alle tante lettere che riceveva. "E’ stata un grande dono di Dio, la ricordiamo sempre con il sorriso  in un corpo sofferente che non aveva nulla di bello, ma lei era la bellezza in persona, quella bellezza che nasceva dalla consapevolezza di essere amata da Dio. Era, come diceva lei, un albero storto che faceva parte della natura e dava i suoi frutti. Pregava sempre, sorrideva alla vita e si immolava vittima d’amore per l’umanità sofferente". Così Padre Pasquale Pitari cappellano dell’ospedale Pugliese-De Lellis ha ricordato la sua figlia spirituale. Il processo è stato istruito oltre che da Padre Pasquale Pitari in qualità di giudice, delegato dall’arcivescovo Ciliberti, anche dal promotore di giustizia Padre Carlo Giuseppe Fotino, dal notaio Alberto Lorenzo e dal notaio aggiunto Padre Bruno Scopacasa. La commissione storica è stata costituita da Don Sergio Iacopetta, da Padre Aldo Mercurio e dal dottore Nicola  Greco, mentre i censori teologi sono stati Don Pino Silvestre e Don Salvino Cognetti. Quest'ultimo ieri si è soffermato sul significato della sofferenza come atto di redenzione.