SERVA DI DIO MARIANTONIA SAMÀ
Piccola Biografia di Mariantonia Samà
Nata a S. Andrea Jonio (Cz) il 2 marzo 1875, all'età di 12 anni fu posseduta da uno spirito maligno, che la tormentò nell'anima e nel corpo.
Dopo atroci sofferenze, portata alla Certosa di Serra S. Bruno, a seguito di lunghi e ripetuti esorcismi fu liberata dallo spirito immondo.
Alcuni anni dopo, colpita da una grave forma di artritismo, e costretta a mettersi a letto in posizione supina, con le gambe contratte, rimase così immobile per oltre 60 anni, sino alla morte.
Ritrovatasi sola nella casetta paterna, visse della carità e dell'assistenza delle persone a lei devote, esercitando le virtù cristiane e dimostrando di essere in speciale comunicazione con Dio.
La santità di Mariantonia Samà consiste nella sua eroica conformità al volere divino. Gli spasimi che la martoriavano l'avvicinarono sempre più a Dio, e da Lui attinse la forza necessaria cibandosi ogni giorno della santa Eucaristia.
II suo letto di dolore divenne una cattedra di preghiera e di conforto a quanti andavano a manifestare le loro pene e sventure, e molti furono i segni di doni straordinari nella sua vita.
II suo nome è oggi conosciuto, benedetto ed invocato dappertutto, e parecchi attestano di aver ricevuto grazie particolari per sua intercessione.
Visse per amore; per amore soffrì, e a tutti dal cielo addita la via dell'amore.
La diocesi di Catanzaro-Squillace ha avviato la causa della sua beatificazione il 2007. Voglia il Signore, per mezzo della Chiesa, concederle il supremo culto degli eroi della virtù.
A. 4 ARTICOLI DI DORA SAMÀ:
1. APPROFONDIMENTO BIOGRAFICO
di Dora Samà
Mariantonia Samà nacque il 2 marzo 1875 in Sant'Andrea Jonio, piccolo paese in provincia di Catanzaro, e visse in condizioni di estrema povertà in una cameretta simile ad una cella. All'età di dodici anni, seguendo la madre in campagna, fu invasa dallo spirito "maligno", dopo aver bevuto dell'acqua corrente tra i sassi. Viste le inutili benedizioni impartitele anche dai frati del convento del vicino comune di Badolato, si ricorse all'esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno (ora in provincia di Vibo Valentia). Dopo alcuni tentativi del Padre certosino, Mariantonia fu liberata dal "maligno", ma si narra che lo stesso pronunciò la frase: "La lascio viva, ma storpia".
Trascorsi un paio di anni, Mariantonia - non si sa se per "vendetta" di Satana... - rimase immobile a letto, fino alla morte e, quindi, per oltre sessant'anni, in posizione supina con le ginocchia sempre alzate e contratte.
Iniziò per lei un lungo e doloroso calvario che sopportò con la forza dell'amore, con lo sguardo sempre rivolto al Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto.
Guidata dallo Spirito Santo nella comprensione del "mistero della Croce", considerò, quindi, un dono la sua malattia, accettando con serena rassegnazione la definitiva immobilità, che offriva a Dio per la conversione dei peccatori, in riparazione delle loro offese e per ottenere risposta alle richieste di coloro che cercavano conforto presso di lei.
Il suo piccolo letto divenne un altare di offerta e di partecipazione alla Passione ed alla Croce di Gesù: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Paolo - Gal.2,20).
Fu sempre assistita da volontarie, sotto il costante controllo delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, che curarono anche la sua preparazione spirituale, trasmettendole una sentita devozione verso lo Spirito Santo ed il Sacro Cuore di Gesù, al quale Mariantonia si rivolse per tutta la vita con spirito di "riparazione eucaristica".
Le Suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione e, dopo i voti, Mariantonia divenne per tutti la "Monachella di San Bruno".
Le virtù che hanno caratterizzato la sua vita sono numerose: la semplicità d'animo; l'umiltà; la modestia; la serenità, che traspariva dal suo volto anche nei momenti di maggior sofferenza; la disponibilità; la generosità ed un'immensa fiducia nella Divina Provvidenza.
Lei, che poteva vivere solo di offerte, divideva con gli altri bisognosi del paese tutto quanto riceveva, sicura che il giorno successivo vi avrebbe comunque provveduto il buon Dio e dimostrando, così, la verità delle parole di San Paolo: "Si è più felici nel dare che nel ricevere" (At.20,35).
La virtù esercitata da Mariantonia in maniera estremamente eroica è stata senz'altro la pazienza che le impedì non solo di ribellarsi alla sua infermità, ma anche di lamentarsi quando i dolori lancinanti, specie durante la Quaresima, da lei sempre sofferta in condivisione con Cristo, martoriavano il suo esile corpo.
Viceversa, il suo spirito era forte, perché lo alimentava quotidianamente con la preghiera e con l'ostia che le portava puntualmente il suo confessore e dalla quale attingeva sostegno per sopportare la sofferenza, per lottare contro il male e per vivere in perenne amicizia con il Signore.
La sua cameretta, con le pareti tappezzate da molte immagini sacre, sembrava un piccolo tempio, soprattutto quando, per ben tre volte al giorno, vi era la recita comunitaria del Santo Rosario, essendo Mariantonia "calamita" di preghiere.
Già durante la vita, la sua fama di santità si era diffusa tra gli abitanti del paese, molti dei quali avevano sperimentato i suoi doni della profezia e della guarigione.
Ma oltre a questi, tanti altri sono stati i carismi concessi a lei dallo Spirito Santo: il dono dell'estasi; dell'introspezione; della bilocazione; del profumo, sempre presente nella sua camera; della condivisione delle sofferenze di Gesù durante la Quaresima e la Passione e, infine, il dono dell' immunità da piaghe da decubito, anche questo scientificamente inspiegabile, benché fenomeno oggettivo e visibile a tutti.
Mariantonia esalò l'ultimo respiro la mattina del 27 maggio 1953. Le esequie si svolsero nel pomeriggio dello stesso giorno e l'Arciprete, don Andrea Samà, in considerazione della fama di santità, ordinò che la salma, deposta nella bara aperta, per consentire l'ultimo saluto dei compaesani, venisse accompagnata in processione per alcune vie del paese, prima di raggiungere il Cimitero.
Qui rimase esposta ai fedeli fino al mattino del 29 maggio e molti attestano di aver visto, nel baciarla, che le sue palpebre si alzavano ed abbassavano e di aver sentito un delizioso profumo di rose, non proveniente da fiori...
Attualmente, i sacri resti della Serva di Dio Mariantonia Samà, assieme alla sua inseparabile corona del Rosario, si trovano nella Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, dove sono stati traslati il 3 agosto 2003.
Giugno 2007
2. LA FAMA DI SANTITA' DELLA SERVA DI DIO MARIANTONIA SAMA'
di Dora Samà
Prima delle mie personali considerazioni su questo delicato argomento, intendo riportare, con soddisfazione e vivo senso di gratitudine verso Sua Ecc.za Mons. Antonio Cantisani, già Arcivescovo di Catanzaro-Squillace (31 luglio 1980 / 5 aprile 2003), la parte iniziale di una Sua esauriente dichiarazione in merito: "Il Signore ha arricchito il mio episcopato di tanti doni: tra i più preziosi c'è senz'altro la testimonianza evangelica di presbiteri, religiosi e laici che Egli ha suscitato in questa Chiesa di Catanzaro-Squillace. Risplende di particolare luce la figura di Mariantonia Samà, detta "La Monachella di San Bruno". Dopo la rievocazione delle Sue visite pastorali a Sant'Andrea Jonio (CZ), dove ella visse, Mons. Cantisani ammette d'essersi reso conto sin da subito che "la memoria della Serva di Dio era quanto mai viva presso tutto il popolo" per l'unanime giudizio: "A Sant'Andrea abbiamo una santa!"
Secondo il mio modesto parere la santità di Mariantonia risale alla sua definitiva malattia, da lei considerata un dono di Dio e vissuta conformandosi pienamente alla Sua volontà.
In tale situazione le sarà stato vicino il grande Patriarca San Bruno, il quale - dopo averla miracolata da ragazza - le avrà suggerito, da padre tenero e premuroso, di affidarsi - nel lungo sessantennio d'immobilità - al Signore Gesù, di contemplare il Crocifisso nel silenzio del suo piccolo "eremo", per sopportare con pazienza il soave giogo della croce, in cambio del Suo infinito amore per noi. Dal suo letto di dolore Mariantonia aiutava il prossimo con la preghiera, lo consolava nelle tribolazioni, lo sosteneva con i suoi saggi consigli, trasmetteva la sua profonda devozione verso il Sacro Cuore di Gesù e della Vergine Santa per cui ogni persona, dopo aver saputo del suo dono profetico e dell'assenza di piaghe dal corpo, la considerava "santa".
Poiché viveva della carità di tutti, ogni famiglia andreolese che la frequentava, trasmise la sua devozione alla prole, come anche fecero i miei genitori.
Mio padre aveva due anni meno di Mariantonia: da piccolo la vedeva crescere, correre con le coetanee e in famiglia apprese con dispiacere della sua infermità. Da pensionato, quando visitava gli ammalati del paese, portava anche a Mariantonia le arance e i dolcetti di "pan di spagna", preparati in casa da mia madre, la quale riteneva importante che noi figli frequentassimo la "santa" sin da piccoli, per acquisire maggiore sensibilità di fronte alla povertà ed alla sofferenza dei meno fortunati. Pertanto, preferiva affidare a noi, dal sesto anno d'età in poi, la consegna per Mariantonia del pranzo domenicale, che le giungeva ancora morbido e caldo.
Mia sorella primogenita, Caterina, conduceva per mano il fratellino Giuseppe, di appena cinque anni, sostituiti in seguito da mia sorella Teresina che, infine, cedette a me l'incarico. La povera inferma aveva conquistato il nostro cuore con l' angelica calma, la dolcezza della sua voce e, quando in famiglia si parlava di lei, tutti ascoltavamo con interesse. Mio padre la definiva "donna saggia, di preghiera e di grande fede", apprezzava ogni suo suggerimento e ripeteva le sue frasi:"Bisogna fidarsi solo del Signore", "Chi ha fede in Dio, non muore mai!"
Notavamo la disponibilità di Mariantonia tanto che da adulti le esponevamo, senza timore, i nostri dubbi e penso che lo abbiano fatto anche mia sorella Caterina e mio fratello (in seguito Suor Caterina "salesiana" e Padre Giuseppe "gesuita"), nel periodo vocazionale, per avere le sue illuminate risposte. Dopo la loro partenza mia madre si è rasserenata, in seguito all'esortazione della Serva di Dio, di pensarli "come due lampade sempre accese davanti al Tabernacolo".
Nella biografia di Mariantonia da me scritta ("Una vita nascosta in Cristo") ho accennato ad alcune sue profezie nei miei confronti, ma riconosco d'essermi accorta della sua santità sin dalla fanciullezza e non solo in virtù del suo dono profetico: m'incantavo a guardarla le volte in cui aveva gli occhi spalancati e fissi al Crocifisso e riconoscevo l'atteggiamento estatico per la sua assenza dalla realtà, perché non rispondeva al mio saluto né prima e né dopo e non pronunciava nemmeno il solito grazie affettuoso per mia madre. Riflettevo, inoltre, sulle interessanti notizie ascoltate da mia zia Caterina, sorella di mio padre, quando ritornava dalla sua visita quotidiana a Mariantonia.
Ci riferiva di alcuni eventi strani che si ripetevano puntualmente nella sua vita e che nessuno aveva mai notato, come risulta oggi, infatti, dalle tante testimonianze.
Sin dal primo giorno di ogni Quaresima e fino alla Santa Pasqua, Mariantonia si asteneva dall'acqua e dal cibo e, inoltre, praticava il completo digiuno anche durante tutti i venerdì dell'anno per vivere la crocifissione mistica, in riparazione degli oltraggi rivolti al Sacratissimo Cuore di Gesù. La mia certezza sulla santità di Mariantonia si è rafforzata nel giorno del suo trapasso quando, dopo la funzione funebre, l'Arciprete don Andrea Samà, per "unanime volere del popolo", decise che l'umile Serva di Dio - come si usa con i santi - fosse accompagnata a bara scoperta per alcune principali vie del paese fino al Cimitero, dove la salma rimase per ben tre giorni esposta alla venerazione degli innumerevoli fedeli, giunti anche dai paesi vicini. In quella circostanza la fama di santità si è manifestata nel desiderio di ogni devoto di avere un pezzetto di velo o di vestito della "Santa" da custodire gelosamente come "reliquia". Questo gesto, molto significativo, risalta nella testimonianza scritta da don Andrea Samà ai margini del Registro di morte dell'anno 1953 (atto n.26). Egli si esprime così: "Gente di qualsiasi razza e credenza si prostrava, le baciava la mano, offriva un fiore e altro ritirava, finché l'Arciprete è stato costretto a levarle la fascia di figlia di Maria ed il velo, perché fossero divisi come ricordo".
Un'ulteriore conferma della santità di Mariantonia è stata la funzione religiosa della traslazione della sua salma dal Cimitero alla Chiesa Matrice, autorizzata il 2 ottobre 2002 dall'Arcivescovo Mons. Cantisani e dallo stesso presieduta il 3 agosto 2003, su incarico del suo successore, Sua Ecc.za Antonio Ciliberti. La solenne cerimonia si configura quale riconoscimento ed omaggio della Chiesa per un'anima vissuta sempre in concetto di santità e degna di riposare nella Chiesa Parrocchiale "SS. Pietro e Paolo". Durante la concelebrazione eucaristica - tenutasi nel piazzale antistante la chiesa, per la grande affluenza di fedeli - l'Arcivescovo emerito, Mons. Cantisani, si è soffermato con entusiastico fervore sull'eroismo delle sue numerose virtù e l'ha indicata ai presenti come modello da seguire nel cammino del pellegrinaggio terreno.
Castelfranco Veneto, 29 giugno 2011
3. UNA FEDELISSIMA AMICA DI GESU’: MARIANTONIA SAMA’
di Dora Samà
Mariantonia Samà, nota come “la Monachella di San Bruno” - da me considerata madre spirituale - nacque a Sant’Andrea Jonio (CZ) il 2 marzo 1875 da Bruno e da Marianna Bevivino e fu cresciuta dalla madre, perché il padre morì prima della sua nascita.
La Serva di Dio visse in condizioni di estrema povertà in una piccola casetta, sita in un vicolo angusto e composta da un unico vano, privo dei servizi di acqua e di luce. Da fanciulla trascorse le giornate in modo spensierato con le sue coetanee e aiutando la mamma nel lavoro dei campi. A dodici anni la sua vita fu sconvolta da un insolito avvenimento: bevendo dell’acqua corrente in una conca del terreno, si sentì tormentata nel corpo e nell’anima. Ne uscì vittoriosa dalla possessione diabolica in seguito all’esorcismo presso la Certosa di Serra San Bruno. D’allora Mariantonia ritornò serena, ma solo per un paio di anni perché un giorno, non riuscendo più a reggersi in piedi, rimase a letto definitivamente immobile, in posizione supina con le ginocchia alzate e contratte, per circa 60 anni fino alla morte (27 maggio 1953), senza avere mai una piaga da decubito.
Iniziò per Mariantonia un lungo e doloroso calvario vissuto nel silenzio e nel nascondimento e sopportato con la forza dell’amore di Dio, con lo sguardo rivolto sempre al Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto, che divenne un altare di offerta e di partecipazione alla Passione di Gesù. Guidata dallo Spirito Santo nell’intelligenza del mistero della croce, Mariantonia considerò la sua malattia come un dono di Dio, senza mai lamentarsi. Ciò le consentiva di alimentare la sua fede e di trarre l’energia necessaria per affrontare quei mali fisici che, spesso,mettevano a dura prova il suo corpo gracile e debilitato. Quando rimase orfana anche di madre, si occuparono di lei le Suore Riparatrici del Sacro Cuore residenti in paese, facendola seguire da un Sacerdote. Questi le portava ogni mattina la S. Comunione, mentre le Suore le facevano ascoltare il Vangelo, la vita dei Santi e l’aiutavano a completare la sua formazione cristiana.
Dopo aver preso atto della sua preparazione e del suo desiderio, le Suore decisero di aggregarla alla loro congregazione mediante i voti e la consegna del velo nero, usato da Mariantonia anche di notte. Da quel momento fu chiamata da tutti “la Monachella di San Bruno”.
Per la sua fama di santità diffusa da tempo tra la popolazione, ogni persona angosciata sentiva il bisogno di confidarsi con la “Monachella” che trovava sempre le parole adatte per confortare, per infondere serenità, fiducia e rassegnazione alla volontà di Dio. Anch’io, pur sapendola priva d’istruzione, ho seguito, fin da ragazza, i suoi saggi consigli considerandoli dettati dallo Spirito Santo. Purtroppo, nessun sacerdote dell’epoca, nemmeno i suoi confessori, si preoccuparono di tenere un diario sugli eventi straordinari o sui fenomeni strani che si manifestavano in quell’anima eletta, la quale viveva in umiltà una profonda vita mistica. Mariantonia affrontò la sua vocazione al dolore con eroica pazienza, per la conversione dei peccatori, per le necessità della Chiesa, per rendere più efficace il suo apostolato di carità evangelica verso il prossimo e per l’unità delle famiglie, che tanto le stava a cuore. Vari episodi testimoniano la prontezza con cui Mariantonia interveniva per salvare, con la sua preghiera, la sacralità del vincolo matrimoniale delle coppie in crisi. La sua vita esteriore è stata per tutti come un libro aperto, mentre quella interiore - sempre avvolta nel mistero - continua a racchiudere in sé i segni del soprannaturale, perché si tratta di quella “vita nascosta con Cristo in Dio” di cui parla l’apostolo Paolo nella Lettera ai Colossesi (3,3) e che sfugge ad ogni scandaglio dell’intelligenza umana.
Dopo la morte di Mariantonia nessuno tra gli abitanti del posto, ha pensato di fare una ricerca accurata dei fatti e degli episodi straordinari della sua vita. Ho cercato di tracciare un profilo più completo della sua personalità, servendomi dei miei ricordi, delle notizie apprese da mia zia Caterina, che la frequentava spesso e delle testimonianze dei miei compaesani. Sono emersi episodi straordinari, interventi ritenuti miracolosi dagli stessi medici e tanti carismi, concessi a Mariantonia dallo Spirito Santo. Oltre al dono della profezia e dell’immunità dalle piaghe, Mariantonia possedeva quello delle guarigioni, dell’estasi, dell’introspezione, del profumo, della bilocazione e, soprattutto, dell’assimilazione di sé stessa con il Signore Gesù sofferente e crocifisso, tanto da potersi applicare pienamente a lei le parole di San Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. (Gal.2,20). Le ginocchia alzate e contratte di Mariantonia si opposero, anche dopo la morte, ad ogni tentativo di abbassarle, come per impedire di modificare una situazione permessa da Dio, perché restasse un segno indelebile del suo lungo martirio.
Cessò di vivere alle ore 10.00 del 27 maggio 1953, dopo una settimana di grande sofferenza. Le sue sacre spoglie, traslate dal cimitero il 3 agosto 2003, riposano, assieme alla sua inseparabile corona del Santo Rosario, nella Parrocchia “SS. Pietro e Paolo” di Sant’Andrea Jonio. Nel mese di novembre 2006, l’Ecc.mo Mons. Antonio Ciliberti, Arcivescovo di Catanzaro Squillace (CZ), ha nominato come postulatore don Vincenzo Manzione, della Diocesi Teggiano - Policastro (SA) e il 9 febbraio 2007 ha costituito il Tribunale per la deposizione di testimonianze di quanti la conobbero. Nel pomeriggio del 5 agosto 2007, nel corso di una concelebrazione eucaristica nella chiesa parrocchiale, l’Arcivescovo ha annunciato ufficialmente l’apertura del processo di canonizzazione della Serva di Dio Mariantonia Samà. Invece, il 1° novembre 2008 Sua Eminenza il Cardinale Angelo Bagnasco, costituiva il Tribunale ecclesiastico, per istruire un processo sul presunto miracolo avvenuto nella Sua Diocesi per intercessione della Serva di Dio. L’inchiesta diocesana si è conclusa il 2 marzo 2009 e la documentazione è stata depositata il 12 ottobre successivo a Roma, presso la Congregazione per le Cause dei Santi, dove si trova anche quella relativa al miracolo, inviata dopo la chiusura del Tribunale, avvenuta il 23 dello stesso mese.
Castelfranco Veneto, 23 ottobre 2010
4. MARIANTONIA SAMÀ E NATUZZA EVOLO
due calabresi autentiche seguaci di Gesù
di Dora Samà
Ho avuto la gioia di conoscere Mariantonia Samà (detta la “Monachella di San Bruno”, nata a Sant’Andrea Ionio - CZ - il 2 marzo 1875 ed ivi deceduta il 27 maggio 1953) e Natuzza Evolo (la grande mistica, nata a Paravati - VV - il 23 agosto 1924 ed ivi deceduta il 1° novembre 2009), di frequentarle, d’averle, in tempi diversi, come guida spirituale, d’apprezzare la loro saggezza, nonostante fossero analfabete, di rendermi conto della loro profonda spiritualità e della grande predilezione di Dio per loro.
Pur umili creature, hanno risposto con prontezza alla sua chiamata, abbracciando con giubilo la croce per offrirGli la sofferenza, ritenuta un suo dono, in cambio del suo infinito amore. Le mie frequenti visite a Mariantonia mi hanno consentito di conServar vivo ogni ricordo, ogni sensazione e l’ammirazione per la sua serena accettazione dell’immobilità, che la tenne inchiodata al letto per sessant’anni, sin da fanciulla, sempre nella posizione supina, con le ginocchia alzate e contratte. Non ho mai dimenticato l’espressione angelica del suo volto quando, assente dalla realtà, rimaneva per ore assorta con lo sguardo al Crocifisso, in diretta ed intima comunione con il suo “bel Gesù” né ho dimenticato le frasi che ripeteva spesso e che poi ho ritrovato leggendo i diari di alcuni Santi, sentendo i racconti di alcuni veggenti ed anche nei messaggi che Natuzza riceveva da Gesù e dalla Vergine Santa, specie nel periodo della quaresima. Natuzza - che pur si definiva per umiltà “verme di terra” - mi parlava con semplicità e naturalezza dei fenomeni strani che in lei si verificavano e io le sono infinitamente grata per avermi aiutata, con il racconto degli episodi soprannaturali della sua vita, a comprendere la vita “avvolta nel mistero” di Mariantonia Samà, la quale negava di avere visioni mistiche, mentre a confermarle ci sono recenti e attendibili testimonianze. Nello scrivere la sua biografia “Una vita nascosta in Cristo” ho così scoperto che, tranne la sudorazione ematica e le stimmate, Mariantonia aveva in comune con Natuzza, oltre all’origine calabrese ed alla devozione per San Francesco di Paola, numerosi carismi e diverse virtù, che esercitava, come lei, in modo estremamente eroico.
Entrambe hanno svolto un fecondo ed intenso apostolato nella rispettiva modesta abitazione, con l’amorevole ascolto delle angosce di tanti fratelli, bisognosi di una parola di conforto. Avevano la grande capacità di infondere serenità, speranza, fiducia nel Signore ed esortavano tutti alla fedeltà dei precetti evangelici, al compimento della divina volontà e alla carità operosa verso il prossimo. Devotissime del Santo Rosario, da loro definito “arma potente contro il male, utile per la pace nel mondo e per il trionfo del Regno di Dio”, hanno diffuso il Suo culto consigliandone la recita quotidiana, soprattutto comunitaria.
Le due “innamorate di Gesù Crocifisso” partecipavano alla sua passione sopportando atroci dolori e digiunando per tutto il periodo quaresimale e vivevano, inoltre, anche “la crocifissione mistica” tutti i venerdì dell’anno, offrendo la sofferenza ed il digiuno in riparazione degli oltraggi dei peccatori contro il Sacratissimo Cuore di Gesù. Come tanti Santi, possedevano il dono del profumo, ma mentre quello di Natuzza è stato avvertito durante la sua esistenza, sembra che quello di Mariantonia si sia manifestato solo dal giorno della sua morte. Anche il 5 agosto 2007 — giorno in cui da parte dell’Ecc.mo Mons. Antonio Ciliberti, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, è stata annunciata ufficialmente, nella Chiesa Matrice di Sant’Andrea Ionio, l’apertura del relativo processo di canonizzazione — l’umile casetta di Mariantonia è stata pervasa da un odore soave, nel quale prevaleva la fragranza di rose. Successivamente, il profumo di Mariantonia ha assunto una fragranza di vaniglia, identica a quella riferita alla presenza di Natuzza e si è avvertito sia all’interno della sua modesta casetta, sia in tutto il vicolo antistante, quasi come se la Serva di Dio volesse andare incontro ai suoi devoti visitatori. La mia esperienza personale nel percepire il profumo di queste anime elette si riferisce a Mariantonia e a Natuzza: ho avvertito il profumo di Mariantonia nella sua casetta nell’estate 2007 e quello di Natuzza intorno al 1980 nella mia abitazione di Napoli, ricevendo poi da lei la sua conferma telefonica della sua venuta “spirituale”. Durante una mia successiva visita nella sua casa di Paravati, dopo averle mostrato un’immaginetta della Monachella, senza alcuna esitazione, l’ha subito definita “santa in Cielo per aver sofferto in vita per amore di Gesù”. Sono, quindi, certa che Natuzza, dal Regno dei beati pregherà affinché Mariantonia sia ora dichiarata formalmente Santa, anche sulla base del riconoscimento, quale miracolo, della guarigione istantanea ottenuta, per sua intercessione, da una signora residente a Genova. Tutti noi pregheremo, invece, con fiducia la S.S. Trinità affinché — a maggior Gloria di Dio e a beneficio delle nostre anime — sia Mariantonia Samà che Natuzza Evolo, fedelissime discepole del Divin Maestro, vengano presto entrambe proclamate sante dalla chiesa per i loro numerosi meriti e la diffusa fama di santità.
Castelfranco Veneto, 11 giugno 2010
Festa del Sacro Cuore di Gesù
B. ALCUNE CHIARISSIME TESTIMONIANZE di:
1. L'Arcivescovo Emerito Mons. Antonio Cantisani
2. Don Edoardo Varano
3. Il parroco Don Francesco Palaia
4. Il postulatore Don Vincenzo Manzione
5. Il vice postulatore Don Alberto Vitale
6. Il medico Giuseppe Stillo
1. TESTIMONIANZA DELL' ARCIVESCOVO EMERITO MONS. ANTONIO CANTISANI
Dichiarazione sulla fama di santità della Serva di Dio Mariantonia Samà
II Signore ha arricchito il mio episcopato di tanti doni: tra i più preziosi c'è senz'altro la testimonianza evangelica di presbiteri, religiosi e laici che Egli ha suscitato in questa Chiesa di Catanzaro-Squillace. Risplende di particolare luce la figura di Mariantonia Samà, detta "La monachella di S. Bruno".
Sono stato nominato arcivescovo di Catanzaro-Squillace il 31 luglio 1980. Appena ho dato inizio al mio servizio pastorale nel settembre di quell'anno, ho sentito parlare del "caso straordinario" di Mariantonia Samà. Ma è stato nell'ottobre, quando non era passato un mese dal mio ingresso in diocesi, che, recandomi a S. Andrea Ionio, il paese ove la Monachella era vissuta tutta la vita, ho potuto – come suol dirsi – "toccare con mano" che la sua memoria era quanto mai viva presso tutto il popolo. Davvero tutti – presbiteri, religiosi, religiose e laici – facevano a gara a parlarmi della santità di Mariantonia. Dicevano proprio così: "A S. Andrea abbiamo una santa!".
Certo, tutti erano convinti di un particolare intervento del Signore nella vita di Mariantonia, quando, ancora giovanissima, a Serra S. Bruno era stata liberata dalla possessione dello spirito diabolico. Ma dimostravano di considerare più "miracoloso" il fatto che, paralizzata quasi per una vendetta del demonio, per circa sessant'anni è rimasta a letto, sempre nella stessa posizione e senza fare mai una piaga. Sollecitato dalla gente, ho sentito anch'io il bisogno di visitare il tugurio dove la monachella ha abitato per tanti anni e ne sono rimasto profondamente impressionato.
Ma, per la gente, la santità di Mariantonia consisteva soprattutto nel fatto che, pur in quelle condizioni, ha riversato un'immensità di bene su quanti si recavano a farle visita: infondeva coraggio nelle difficoltà, esortava ad avere fiducia nell'ora della prova, dava saggi consigli anche nella scelta del proprio stato di vita, indicava nell'uniformità alla volontà di Dio il segreto della pace interiore.
Era, comunque – sempre a giudizio di quanti mi hanno avvicinato durante le mie visite a S. Andrea – la testimonianza di Mariantonia che colpiva e, secondo alcuni, affascinava: totalmente abbandonata nelle mani di Dio, con lo sguardo costantemente sul Crocifisso, innamorata del Cuore di Gesù e filialmente devota alla Madonna.
Tanti, specialmente i sacerdoti, la vedevano spesso e a lungo immersa nella contemplazione e non erano lontani dal vero se parlavano del dono dell'estasi di cui il Signore aveva arricchito quella creatura, che, tra l'altro, si cibava ogni giorno del pane eucaristico.
Man mano che son passati gli anni e son ritornato per il mio servizio pastorale a S. Andrea, mi sono reso conto che il popolo crede con la convinzione di sempre nella santità di Mariantonia. Continuano a rivolgersi a lei per ottenere protezione e grazie di ogni genere. Tanti parlano di grazie effettivamente ricevute. E si tratta non di rado di andreolesi emigrati sparsi in tante parti del mondo. E', comunque, significativo che molti, pensando a Mariantonia viva nel Signore, parlano di "amore crocifisso": e difatti la monachella di S. Bruno offriva le sue sofferenze in semplicità e letizia di spirito, unendole a quelle del Signore, per la salvezza del mondo e, in particolare, per la santificazione dei sacerdoti. In verità, la monachella, pur vivendo nella solitudine della sua "cella", ha sempre pensato agli altri. Viveva della carità dei buoni, ma tratteneva per sé solo quanto era strettamente necessario per la giornata: il resto doveva andare ai più bisognosi.
Avevano ragione gli andreolesi a ricordarmi che, quando furono celebrate le esequie, il parroco aveva giustamente disposto con il plauso del popolo che la salma di Mariantonia attraversasse tutte le vie del paese prima che fosse portata al cimitero.
Nel 1995, a conclusione del primo Sinodo diocesano, che aveva esaltato la santità feriale, ho voluto pubblicare un opuscolo, Santi fra noi, per far conoscere figure di fedeli della diocesi che nel sec. XX si sono distinti per aver vissuto "La misura alta della vita cristiana ordinaria". L'opuscolo comprendeva ovviamente il profilo biografico di Mariantonia Samà.
Sono stato, poi, davvero felice quando, in vista della celebrazione del 50° anniversario del transito della Monachella di S. Bruno, soprattutto allo scopo di raccogliere le testimonianze, è stato pubblicato il volumetto Mariantonia Samà – la monachella di S. Bruno (1875-1953): 60 anni di Amore Crocifisso, preparato da don Gerardo Mongiardo, il quale dava anche opportuni consigli per l'introduzione della causa di beatificazione.
Si comprende, perciò, facilmente con quanta convinzione e, perche no, con quanta gioia io abbia autorizzato il 2 ottobre 2002 la traslazione della salma di Mariantonia Samà dal cimitero di S. Andrea alla chiesa parrocchiale "Santi Pietro e Paolo".
Intanto, il 5 aprile 2003 ho lasciato per limiti di età il governo pastorale della diocesi di Catanzaro-Squillace. Ma il mio successore, Mons. Antonio Ciliberti, pienamente d'accordo sull'iniziativa, il 3 agosto 2003 era fuori sede. E' toccato, pertanto, proprio a me presiedere la celebrazione per la tumulazione della salma di Mariantonia Samà nella sua chiesa parrocchiale.
Così, a significativa conclusione del mio servizio pastorale, con l'esempio luminoso di Mariantonia Samà, il Signore mi dava l'opportunità di ricordare a quanti erano stati affidati alle mie cure, ciò che era stata una costante del mio magistero in trentadue anni di episcopato: la vocazione universale alla santità.
In fede. + Antonio Cantisani
Arciv. Em.
Catanzaro, 2 aprile 2011,
nella memoria di S. Francesco da Paola
2. TRE TESTIMONIANZE DI DON EDOARDO VARANO
a. Prima testimonianza
1. Era una persona semplice, umile, priva di cultura, nell'impossibilità di leggere e scrivere. A ciò si aggiunga ch'essa nessuna attività esterna poté svolgere fuori dal suo poverissimo tugurio di appena 12,68 metri quadri, dove per 60 anni rimase a letto senza fare mai piaghe di decubito.
E, perche santa ritenuta, i fedeli accorrevano numerosi al suo capezzale per avere notizie sui congiunti in zona di guerra o per ricevere consigli in particolari loro bisogni. Le sue risposte brevi e precise, dette a voce flebile, trovavano sempre puntuale riscontro nella realtà.
2. Straordinaria fu la sua vita spirituale, alimentata, come a viva sorgente, dalla preghiera personale e silenziosa che si trasformava in contemplazione. Non mancava mai la recita del S. Rosario tre volte al giorno assieme a fedeli presenti. Ma il momento più importante della giornata era senza dubbio quello della S. Comunione, che un anziano e santo sacerdote tutte le mattine di buona ora le portava.
Chi per caso era presente notava un singolare mutamento del suo volto tanto da sembrare morta. In realtà, appariva all'esterno quell'invisibile, intima unione col "dolce Gesù" come solitamente ripeteva. A questa unione, però, era pervenuta attraverso l'acuta sofferenza, che giorno e notte affliggeva il suo gracile corpo senza mai darle tregua.
Stare immobile a letto per 60 anni, senza potersi rivoltare d'un centimetro, tenendo in alto le ginocchia e ferme le braccia sul petto, ha dell'impossibile. Eppure, nessun lamento, nessun rifiuto, nessuna parola di stanchezza.
La forza e la gioia di soffrire l'attingeva da Gesù Crocifisso appeso sulla parete di fronte, su cui erano costantemente fissi i suoi occhi.
La gente aveva ben capito che in quella fragile carne dimorava il "Divino" e per questo accorrevano a lei anche sacerdoti, religiosi e finanche vescovi.
3. Abbiamo una luminosa conferma della diffusa fama di santità della Serva di Dio, anche in vita, considerando l'imponente partecipazione popolare in occasione delle sue esequie svolte, a cassa scoperta, prima per le vie del paese a mo' di processione sacra, poi in chiesa e infine in corteo fino al cimitero.
A riguardo, non posso fare a meno di trascrivere lo scritto, il solo che possediamo sulla Serva di Dio e sconosciuto purtroppo fino ad oggi, lasciatoci dal Parroco del tempo Arciprete Don Andrea Samà. Si trova, cosa insolita, a margine dell'atto di morte di Mariantonia Samà, e ritenendo sia la testimonianza più qualificata, la riporto ad litteram come giace nel libro. Eccola:
"N° 26 — Samà Mariantonia (morta il 27 maggio 1953)
Morta in concetto di santità, non appena spirata, l'oscuro tugurio in Via Cassiodoro, che l'aveva vista nascere, crescere ed invasa dal demonio a 15 anni circa, è diventato luogo sacro di un affollarsi soffocante di popolo che faceva forte pressa di penetrarvi per vedere le spoglie angeliche della Santina di S. Bruno. Era così chiamata perché, invasa dal demonio, a cura della Baronessa Scoppa e del Barone De Iorio, nipote, era stata condotta a Serra S. Bruno e sul lago omonimo liberata dal demone. D'allora in poi, rimase sempre a letto nella posizione supina fino alla morte, senza aver una sola piaga di decubito.
Spirava alle ore 10 (dieci); è stata trasportata al cimitero alle ore 16,30 a cassa scoperta; per unanime volere del popolo è stata posta nella Chiesa delle Ven. Suore Riparatrici meta di continuo pellegrinaggio fino alle ore undici del giorno 29.
Gente di qualsiasi classe e credenza si prostrava, le baciava la mano, offriva un fiore ed altro ritirava, finché l'Arciprete (cioè lo scrivente Don Andrea Samà) è stato costretto a levarle la fascia di figlia di Maria e il velo nero perché fossero divisi come ricordo.
Molti asseriscono di averla vista aprire e chiudere gli occhi. Immediatamente prima della saldatura della cassa di zinco, in cui è stata rinchiusa, la gente asciugava il sudore che bagnava leggermente il corpo, ed io, Arciprete Andrea Samà, ho dovuto constatare che il velo da me tirato per essere diviso alla gente, era realmente addirittura inzuppato, come ho fatto constatare a certo Cosentino Gerardo che lo tagliuzzava con le forbici.
Fino al momento della saldatura, alle ore 11 del 29-5-1953, non si sentiva cattivo odore".
S. Andrea Jonio, 10.01.2009 Don Edoardo Varano
b. 2a testimonianza di Don Edoardo Varano:
1. Riguardo alla natura della malattia che colpì Mariantonia Samà, si ritiene difficile fare una diagnosi precisa, sia perché trattasi di una persona vissuta da più di un secolo sia perché mancano documenti e riferimenti clinici del passato. Nonostante questa situazione anomala, il Dott. Giuseppe Stillo, dopo lunghe, approfondite ricerche e riflessioni ha rilasciato una diagnosi-ipotesi che viene allegata a parte. La mancanza di riferimenti clinici del passato non stupisce se si tiene presente che la Serva di Dio ha sempre ostinatamente rifiutato visite mediche sul suo corpo, tanto forte era in lei il sentimento profondo di pudicizia. Si spiega così il fatto che solo le Suore Riparatrici del luogo potevano effettuare la sua pulizia personale o ravviare i capelli. Lo conferma anche il Sac. Don Tito Voci nativo di S. Andrea che nel suo libro "Indagine storica di S. Andrea ", in un capitolo dedicato alla "Monachella di San Bruno" a pag. 191 scrive tra l'altro: "In opposizione allo stato di ossessa, si sviluppò in lei l 'amore alla purezza che custodì sempre, un orrore istintivo al peccato e al demonio –quella brutta bestia – come diceva ".
2. Riguardo all'esorcismo, non v'è dubbio che è stato effettuato a causa delle strane e irriverenti manifestazioni da tutti ritenute diaboliche. Non si spiega altrimenti la rischiosa iniziativa della Baronessa Scoppa del luogo, donna colta, intelligente e religiosa, di organizzare, certamente con l'assenso dei Sacerdoti, il trasporto della ragazza in una specie di cassa, facendo affrontare un viaggio di 8 ore a piedi attraverso la nostra montagna, servita solo di viottolo mulattiero. Conosciamo, infatti, nomi e cognomi dei 4 portatori, tutti di S. Andrea, come si ricava dalla fotocopia del documento manoscritto, conServato in originale nella biblioteca della Certosa di Serra San Bruno. E' anche certo che la ragazza, ritornata in paese dopo il felice esito dell'esorcismo, condusse subito vita normale dedicandosi ai comuni lavori (attingere acqua alla fonte, trasportare legna, raccogliere olive). Dopo circa 2 o 3 anni, cominciò ad avvertire forti dolori alle gambe e ginocchia ritenuti allora forme artritiche, per cui furono consigliati, come allora era uso fare, bagni di sole e sabbiature sul litorale del nostro vicinissimo mare Jonio. Queste cure, purtroppo, non sortirono l'effetto sperato, anzi aggravarono tanto la situazione da costringere la ragazza a trovare sollievo a letto, mantenendo le gambe contratte. Questa posizione immobile l'accompagnò per 60 anni fino alla morte e - cosa straordinaria - senza fare mai piaghe da decubito. Non sappiamo se la scienza medica possa dirci qualcosa in merito! Resta però il fatto che la Serva di Dio, inchiodata a letto, accettò il suo martirio e calvario senza mai lamentarsi, felice di soffrire con Cristo Crocifisso, "il suo bel Gesù", come soleva ripetere. Nell'amore sofferente si purificò fino a raggiungere l'unione più intima e perfetta con Cristo nello stato mistico. In questo lungo atto di amore sofferente consiste essenzialmente la sua santità. Fatti e circostanze che l'accompagnarono, spariscono davanti al mistero di Dio, che da ciò che è piccolo e ignobile sa trarre cose grandi incomprensibili a livello umano.
3. Prima di parlare dell'assistenza delle donne alla Serva di Dio, si deve accennare al luogo dove essa veniva prestata. Questo non può chiamarsi né casa né casetta ma solo tugurio. Posto a piano terra è racchiuso in 12 mq più un sottotetto raggiungibile con scala a pioli. In questo poverissimo tugurio, con pochissima luce esterna, nacque, visse e morì la Serva di Dio. Dopo la morte della madre che l'assisteva, si rese necessario dividerlo per creare un piccolo ambiente per far riposare di notte le buone donne e collocare un focolarino per cucinare o riscaldare le vivande, che i buoni e generosi fedeli del paese senza tregua portavano alla "Monachella di San Bruno". Le donne, che si sono succedute una dopo l'altra nell'assistenza, erano tutte anziane e di provata fede religiosa. Prestavano il servizio di carità gratuitamente fino a quando le loro forze fisiche lo consentivano, convinte che ciò facevano verso una persona ritenuta da tutti una santa. I loro nomi sono riportati, in gergo dialettale, nella biografia scritta da Dora Samà ("Una vita nascosta in Cristo" - pag. 32); e in quella scritta dal Sac. Gerardo Mongiardo ("Mariantonia Samà, 60 anni di amore crocifisso " - pag. 43).
4. La Serva di Dio ha trascorso la sua vita nel più assoluto nascondimento e silenzio senza beneficiare mai di pubblicità o provocare rumore esterno. Per lei nessuno ha fatto propaganda e anche nello stesso ambiente ecclesiastico diocesano, fu completamente ignorata.
Al contrario la sua fama di santità è stata costantemente riconosciuta dal popolo e dai sacerdoti di S. Andrea a lei devotamente vicini. Diversi testi de visu concordemente e in coscienza affermano che la Serva di Dio è veramente una santa.
Questo il comune sentire e la convinzione del popolo di S. Andrea, per cui anche qui vale ripetere: vox populi, vox Dei.
Sulla fama di santità della Serva di Dio, non vi è alcun dubbio.
E' sufficiente ricordare e rimarcare alcune note:
- Nel Registro Parrocchiale dei morti al n° 26, il Parroco del tempo Sac. Andrea Samà che conosceva bene la "Monachella di San Bruno" perché la frequentava, a margine dell'atto di morte (cosa insolita) inizia così la sua testimonianza:
"Samà Mariantonia morta in concetto di santità" ...
Questa è la testimonianza più qualificata e convincente che conserviamo, fatta dal Parroco del tempo, portavoce di tutta la comunità parrocchiale. Essa è molto importante perché di indiscusso valore probatorio circa la fama di santità della Serva di Dio.
- In occasione della traslazione dei resti mortali della Serva di Dio dal cimitero al paese (3 Agosto 2003) avvenuta con la partecipazione imponente dei fedeli (c'ero anch'io), il Vescovo S.E. Mons. Antonio Cantisani celebrò la S. Messa nella piazza affollata, con l'urna deposta ai piedi dell'altare. Questa, dopo la cerimonia, fu portata alla vicina Chiesa Parrocchiale per essere in essa tumulata. Non si può pensare che un Vescovo abbia permesso, a cuor leggero, la reposizione in Chiesa dei resti mortali della Serva di Dio se non fosse stato profondamente convinto della sua santità.
- Scrivere due biografie sulla "Monachella di San Bruno" da parte di un Sacerdote e di una laica senza avere prove sufficienti sulla fama di santità, sarebbe stato aberrante impostura e mancanza di rispetto verso i lettori.
- I continui devoti visitatori alla tomba e al vicino tugurio della "Monachella di San Bruno", ora decorosamente ristrutturato, confermano la sua fama di santità.
CONCLUSIONE
Il misero tugurio fu il suo deserto spirituale per 60 anni, vissuto nell'estrema povertà, nel nascondimento, nel silenzio e nell'umiltà, alimentati da una interminabile sofferenza amata con Cristo Crocifisso. Questa la particolare nota della sua santità. Da quel letto la Serva di Dio lancia oggi un messaggio liberatorio a questa nostra società assetata di potere, denaro ed edonismo. Per la Calabria, in particolare, è un forte richiamo ai valori umani e cristiani tanto necessari per la sua attesa rinascita.
S. Andrea Ionio, 14 aprile 2011 Don Edoardo Varano
c. 3a testimonianza di Don Edoardo Varano:
Il motivo principale per cui, dopo la morte della Serva di Dio Mariantonia Samà avvenuta 27/05/1953, il Processo è iniziato dopo 54 anni, è perché nessuno si è interessato. Come spiegare? Anzitutto c'era una subcultura in Calabria che riteneva difficile in quei tempi (oggi tutto è cambiato) ottenere il riconoscimento ufficiale della Chiesa sulla santità di una persona. Pur sapendo tutti che la Serva di Dio fosse una santa, nessuno, purtroppo, prese l'iniziativa di introdurre la causa di beatificazione. I diversi vescovi che si sono succeduti nelle due diocesi di Catanzaro e Squillace, non hanno prestato, dati i loro impegni, spiccata attenzione alla nostra Serva di Dio, umile e nascosta, vissuta immobile a letto per 60 anni in un poverissimo ed angusto tugurio. Neppure i parroci e sacerdoti del luogo, pur consapevoli della santità della nostra Mariantonia, hanno mai vagheggiato l'idea di un possibile processo di beatificazione. A sollevarne il problema sono stato io e alcuni ferventi laici che abbiamo trovato entusiastica accoglienza nel vescovo Mons. Antonio Cantisani che, tra l'altro, in data 3 Agosto 2003, compì la reposizione dei resti mortali della Serva di Dio nella Chiesa Parrocchiale dei SS. Apostoli Pietro e Paolo in Sant'Andrea Jonio. Mi auguro presto la felice conclusione del Processo in corso per la Beatificazione della nostra Serva di Dio, uno dei tanti gioielli di questa tormentata Calabria, capace anche di esprimere intelligenza e santità. ................Sant'Andrea Jonio, 11/11/2010 Don Edoardo Varano
3. TESTIMONIANZA DI DON FRANCESCO PALAIA,
parroco dei S.S. Apostoli Pietro e Paolo - S. Andrea Jonio (CZ)
In qualità di Parroco dal 1981 di S. Andrea Jonio (CZ), paese natale della Serva di Dio Mariantonia Samà, ho potuto costantemente verificare dal vivo, l'affettuoso attaccamento e la devozione dei miei parrocchiani verso la Serva di Dio, detta anche "Monachella di San Bruno", immobile per 60 anni sul letto con le ginocchia rattrappite e volto estatico. Io l'ho conosciuta nella mia infanzia, quando accompagnavo la nonna nelle frequenti visite a lei. Ritengo che debba al suo sacrificio e alle sue preghiere la mia vocazione al sacerdozio. Divenuto parroco di questo mio paese, ho avuto il privilegio di custodire la casetta-tugurio della Serva di Dio e conServare i quaderni destinati ad accogliere preghiere, invocazioni, suppliche registrate dai visitatori pellegrini, di ascoltare testimonianze sulla sua fama di santità, confermata soprattutto dalla nota a margine del registro parrocchiale dei morti dal Parroco del tempo Sac. Samà Andrea, il quale inizia la sua testimonianza con queste testuali parole: "Samà Mariantonia, morta in concetto di santità ...". A seguito di ciò, su richiesta insistente dei fedeli e dei testimoni ancora in vita, d'accordo con le autorità ecclesiastiche e civili, si è deciso di fare la traslazione dei resti mortali della Serva di Dio alla Chiesa Parrocchiale (3 agosto 2003).Prima della tumulazione in Chiesa, è stata celebrata in Piazza la S. Messa presieduta da S.E. Mons. Antonio Cantisani con molti sacerdoti concelebranti e alla presenza di una folla strabocchevole di fedeli. In questo generale consenso sulla santità della Serva di Dio, è stato introdotto e ultimato il processo diocesano per la sua beatificazione.
4. TESTIMONIANZA DEL POSTULATORE DON VINCENZO MANZIONE
"Sul letto del dolore si conformò a Cristo crocifisso per il bene delle anime"
L'Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Mons. Antonio Ciliberti, durante la visita pastorale a S. Andrea Ionio (Cz), ha ufficialmente aperto l'inchiesta diocesana per la canonizzazione di Mariantonia Samà, detta comunemente la "monachella di S. Bruno".
Il 6 gennaio 2007, l'Arcivescovo aveva nominato postulatore della causa, don Vincenzo Manzione del Clero della Diocesi di Teggiano-Policastro. Il 9 febbraio, Mons. Ciliberti aveva provveduto alla costituzione del Tribunale, nominando il canonico Edoardo Varano, Giudice delegato; don Vincenzo Zoccali, promotore di Giustizia; Rita Domimijanni, notaio titolare e Daniela Martin, notaio sostituto. Della Commissione storica fanno parte: don Leonardo Calabretta e don Gregorio Montillo.
Mariantonia Samà, detta anche la monachella di San Bruno, nacque a S. Andrea Ionio, provincia di Catanzaro, il 2 marzo 1875, da una famiglia molto povera.
Il padre, Bruno, morì prima che lei nascesse. Fu, quindi, la madre, Marianna Bevivino, a doversi interessare della crescita e del mantenimento della piccola Mariantonia.
All'età di 13-15 anni circa, la ragazza fu colpita da una grave forma di artrite deformante ed osteoporosi che la inchiodò per tutta la vita a letto, immobile, in posizione supina, con le ginocchia alzate e contratte per oltre 60 anni.
Abitava con la madre in un'umile, angusta e buia casetta, rassomigliante piuttosto ad un tugurio, in un vicolo strettissimo del paese, dove il sole non faceva mai capolino.
Il buio, il freddo, l'estrema povertà dell'ambiente, insieme alle precarie condizioni economiche della famiglia, resero più atroce la sofferenza fisica di Mariantonia e quella morale della madre; ma entrambi ebbero la forza e il coraggio della fede e della speranza nell'aiuto della divina Provvidenza.
Mariantonia abbracciò con grande serenità dell'anima, direi con vera gioia del cuore, la sua penosa malattia, confortata soltanto dal suo ardente amore al Crocifisso che vedeva, contemplava ed adorava appeso alla parete di fronte al suo misero giaciglio.
Col lento trascorrere delle ore, dei giorni e degli anni, realizzò una piena assimilazione a Lui, divenendo cosi copia perfetta di Gesù Crocifisso.
Su quel letto di dolore, sul quale fu inchiodata come su di una croce per tutta la vita, diventato altare, calvario e cattedra, Mariantonia poté essere sacerdotessa, vittima e maestra di vita e di virtù eroicamente vissute e, perciò, esempio e sprone per tutti alla santità. Fu cosi perfetta la sua conformazione al Crocefisso Signore da poter dire di sé con l'Apostolo Paolo: "Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio... Sono stata crocifissa con Cristo, non sono più io che vivo, ma e Cristo, che vive in me" (Gal 2, 20 ss.).
La sua vita nascosta in Cristo crocifisso si nutrì costantemente dell'Eucaristia, che riceveva quotidianamente e che, durante le lunghe ore di ringraziamento, adorava in unione mistica di amore sponsale.
Mariantonia, pur essendo sprovvista di cultura umana, custodiva accuratamente nella sua anima illibata i doni infusi dallo Spirito Santo: Intelletto, Scienza e Sapienza, che le resero facile ed agevole il volo verso le più alte manifestazioni dello Spirito, divenendo vera "luce sul monte" per illuminare, elevare ed orientare alla santificazione i numerosissimi fedeli che andavano a farle visita per ascoltarla, ammirarla, chiederle consigli ed aiuti spirituali.
Era tanto vera e sincera la fede di quella gente e cosi spontanea la loro venerazione per la Serva di Dio che, ancora oggi, dopo 54 anni dalla morte, possiamo vantare il possesso di una vasta documentazione di testimonianze, di segni straordinari, di illuminazioni e di grazie ricevute, che un'apposita commissione storica, già nominata, dovrà accuratamente esaminare.
La signora Dora Samà, che da ragazza ebbe frequenti contatti con la Serva di Dio, nel suo recente libro biografico: "Una vita nascosta in Cristo", scrive: "Non è mai uscito dalla sua bocca un solo lamento; forse erano momenti di dolore quelli in cui esclamava: "Dio mio e mio Tutto".
Quando le persone che andavano a farle visita, in sua presenza, aggiungevano qualche critica durante la conversazione, in quei momenti, fissando il Crocifisso, con voce addolorata ripeteva: "Quanto soffre quel buon Gesù"!
Mariantonia Samà morì, come Gesù sulla croce, in odore di santità, il 27 maggio 1953.
I funerali furono una corale partecipazione di popolo osannante alla sua santità ed al suo martirio incruento per amore.
Sulla sua tomba fu posta l'epigrafe che è un vero testamento spirituale di una vita crocifissa per amore: "Visse per amore, soffrì per amore ed ora dal Cielo a tutti addita la via dell'Amore". Ancora oggi, a distanza di più di mezzo secolo, il profumo della sua santità e virtù eroiche continua a diffondersi dentro e fuori del suo paese.
I pellegrini continuano ad accorrere a frotte da tutte le parti a S. Andrea Ionio per visitare e pregare sulla sua tomba, ora trasferita nella Chiesa parrocchiale Santi Pietro e Paolo, per poi recarsi nella vicina casetta a deporre un fiore sul povero letto dove si consumò il suo calvario di dolorosa crocifissione e per impetrare dalla sua intercessione aiuti e favori celesti, per sfogare le proprie pene interiori e chiedere sollievo e conforto per le sofferenze del corpo.
E' veramente commovente ed edificante poter leggere quelle testimonianze di fede, di speranza e di amore che i visitatori scrivono nei registri appositamente collocati in un angolino di quel povero tugurio.
Oltre ad invocare grazie personali, tutti manifestano ferma volontà di conversione e di imitazione della vita e delle virtù della Serva di Dio. In special modo, della sua fede operosa e viva; della sua speranza invincibile; della sua carità senza misura; della sua povertà, umiltà, e purezza di cuore; della sua serenità, pazienza e gioia nel portare la propria croce; della sua generosa disponibilità verso gli altri; della sua illimitata fiducia nella divina Provvidenza; del suo totale abbandono alla Volontà di Dio.
Di tali sublimi esempi abbiamo tutti bisogno, specialmente i giovani, per colmare quel vuoto interiore che una cultura negatrice dei valori soprannaturali, sta diffondendo nella nostra società.
Per il suo stile di vita condotto nella sofferenza, che ne fece una martire di forzata immobilità, la Serva di Dio Mariantonia Samà resta un perenne e luminoso esempio di accettazione incondizionata del dolore ed un sicuro, sublime richiamo per noi a purificarci ed elevarci per mezzo di esso.
Roma, 27 aprile 2007
"Ha preso la croce, ha imitato Cristo, suo sposo, ora vive con Lui, splendente come il sole nell'assemblea dei Santi" (dalla liturgia).
5. TESTIMONIANZA DI DON ALBERTO VITALE,
parroco di San Raffaele Arcangelo - S. Andrea Marina (CZ)
Sono Parroco a S. Andrea Marina (CZ) dal 15/01/1984 e ho ancora vivo nella mia mente il ricordo, come testimone oculare, delle esequie della Serva di Dio Mariantonia Samà, detta anche "Monachella di San Bruno", avvenuti il 29 Maggio 1953. Una fiumana di popolo riempiva tutte le strade del paese; la salma di Mariantonia Samà posta in una bara scoperta, veniva portata in processione per le principali vie ed io insieme ad altri bambini, per poterla vedere, tanta era la calca e la folla, siamo saliti sul muretto, come Zaccheo che salì su un sicomoro per vedere Gesù.
Vi parteciparono tutte le associazioni di Azione Cattolica (allora fiorenti in paese), le Associazioni "Figlie di Maria", delle "Madri Cristiane", delle Suore Riparatrici e tutto il popolo. Per due giorni la bara scoperta rimase nella cappella delle Suore Riparatrici, del Cimitero di S. Andrea, dove un flusso continuo di gente andava e veniva, per venerarla, pregarla e tagliuzzava pezzi del suo vestito per tenerli come reliquia, perche dicevano "èmorta la Monachella... è morta una santa! Lei preghi per noi!"
Mariantonia Samà fu considerata santa non solo dopo la sua morte, ma anche durante la sua vita terrena. Molti sono i presunti interventi miracolosi attribuiti alla sua intercessione.
Quando Mariantonia a 34 anni rimase orfana di madre, si occuparono di lei le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, residenti in paese, facendola seguire da un sacerdote (Don Bruno Cosentino) che le portava ogni mattina la Comunione, mentre le suore le facevano ascoltare il Vangelo o la vita di qualche santo e l'aiutavano a completare la sua formazione cristiana.
Dopo aver preso atto della sua preparazione e del suo desiderio, le suore decisero di aggregarla alla loro Congregazione mediante i voti privati e la consegna del velo nero, che Mariantonia usava anche di notte. Da quel momento fu chiamata la "Monachella di San Bruno". La sua fama di santità si era diffusa da tempo nella popolazione, perché donna di preghiera, di penitenza e, soprattutto, per i suoi consigli per i vari problemi personali e familiari e per il dono della chiaroveggenza delle situazioni dei propri figli o mariti lontani per la guerra. Ogni persona angosciata sentiva il bisogno di confidarsi con la Monachella, la quale trovava sempre parole adatte per confortare, per infondere sempre fiducia e abbandono alla volontà di Dio. Il 3 agosto 2003, nel 50° della sua morte, i resti mortali, composti in un'urna, sono stati traslati dal Cimitero alla Chiesa Matrice di S. Andrea e collocati nel lato destro della stessa Chiesa. In quell'occasione fu celebrata in piazza la S. Messa presieduta da S.E. Mons. Antonio Cantisani con molti Sacerdoti concelebranti tra cui io sottoscritto alla presenza di una folla di fedeli.
S. Andrea Jonio, 20 Aprile 2011
Sac. Alberto Vitale Parroco
5. TESTIMONIANZA DEL DOTT. GIUSEPPE STILLO,
Medico chirurgo, Medico di medicina generale,Specialista in Medicina del lavoro - Parere medico sull'infermita' di Mariantonia SAMA'
E' estremamente difficile formulare una diagnosi di malattia a posteriori a distanza di tanti anni, anche perché nel caso in questione i dati clinici ed anamnestici sono carenti sia perché l'ammalata non si è mai fatta visitare da medici, sia perché non è stato possibile raccogliere una storia clinica adeguata. Sulla base dei sintomi descritti da chi l'ha conosciuta, tenendo anche in considerazione i lunghi anni trascorsi immobilizzata a letto durante i quali, secondo il racconto di chi andava a trovarla, l'ammalata muoveva solo l'arto superiore destro in un atteggiamento spastico, si può pensare che la stessa fosse affetta da paralisi spastica tipo Malattia di Charcot Marie Tooth.
Tale malattia è una neuropatia sensitivo motoria, simmetrica e progressiva, caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare soprattutto a carico degli arti inferiori. Si manifesta in età giovanile (di solito prima dei 20 anni) con dolori e crampi muscolari. Infatti, secondo le testimonianze, Mariantonia Samà, all'inizio riferiva dolori agli arti inferiori ed i familiari, pensando ad una forma reumatica o artrosica, la portarono al mare per fare delle sabbiature senza alcun beneficio. In seguito si ha una spasticità progressiva degli arti inferiori tale da costringere 1'ammalata a stare a letto come è accaduto per Mariantonia. Tale malattia non abbrevia la durata della vita ma provoca immobilizzazione a letto con dolori continui (infatti quando l'ammalata veniva cambiata i dolori aumentavano al punto che lei se ne lamentava). La posizione di malata immobilizzata a letto in atteggiamento paralitico di tipo spastico, determina, dopo poco tempo, la formazione di piaghe da decubito con ulcere necrotiche che, ove non trattate, sono maleodoranti. Nel caso in questione tutte le testimonianze riferiscono che il fenomeno delle piaghe non si è mai verificato né è stato preso, all'epoca, alcun provvedimento per prevenirle. Dal punto medico scientifico, non trova spiegazione il fatto che un'ammalata, costretta per 60 anni immobilizzata a letto, non abbia avuto mai piaghe da decubito.
S. Andrea Jonio, 15 Aprile 2011 In fede Dott. Giuseppe Stillo
OsServatore Romano del 27 aprile 2007 n. 95, pagina 4