Riflessione dell’Arcivescovo Mons. Antonio Ciliberti alla prima sessione
pubblica del processo canonico diocesano per la beatificazione e canonizzazione
della Serva di Dio Gaetana Tolomeo (detta Nuccia)
31 luglio 2009 - Cappella dell’Ospedale civile Pugliese di Catanzaro
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La prima parola che, partendo dal cuore, affiora sulle mie labbra è proprio “grazie”:
Grazie al Signore che ci ha dato questa sorella che ci ha preceduti nella fede e l’ha testimoniata
con una vita intemerata, mediante la quale ha cercato in maniera costante di unificarsi a Cristo, di
identificarsi a Lui. E in maniera mirabile ha raggiunto questa dimensione proprio attraverso il
supporto della sofferenza gioiosa. Nuccia sapeva bene, perché era in una luce vivida di una fede
crescente, aveva capito assai bene che l’opera più grande che Dio abbia potuto portare a
compimento a servizio dell’uomo nella storia è stata determinata dall’oblazione di Cristo, il
quale, immolandosi sull’altare della croce, ha celebrato davvero quell’unico essenziale sacrificio
che ha riscattato l’uomo alla sua dignità di figlio di Dio e gli ha consentito la certezza dell’eterna
salvezza. Nuccia, allora, in profonda sintonia con Gesù Cristo, ha voluto unire la sua passione a
quella di Gesù per potere collaborare con Lui nella gioia sofferta all’universale redenzione
dell’umanità. Sono questi i caratteri costitutivi della particolare santità di questa donna umile e
pia, la quale sul letto della sofferenza come sulla croce, altare sul quale Cristo si è immolato,
incondizionatamente ha offerto se stessa per potere collaborare all’ineffabile disegno di Dio per
l’evento dell’universale redenzione. Sulla testimonianza esemplare di questa nostra sorella e la
particolarità di questo luogo privilegiato, che abbiamo scelto per dare inizio a questo processo,
dobbiamo tutti riscoprire la bellezza, l’efficacia, il valore, il senso della sofferenza cristiana, che è
l’anima costitutiva della gioia vera. Non c’è una gioia autentica se non ha come anima la
sofferenza. Ne volete una dimostrazione ineffabile? Eccola. C’è gioia più grande dell’evento
pasquale? Il Cristo che vince la morte e risorge e riafferma la perennità della vita? Ma qual è il
segno pasquale? La croce, l’Agnello che s’immola. Nuccia ci ha dato questo insegnamento con la
sua testimonianza e la trasparenza della sua vita. Accoglieremo anche la sofferenza come un
mezzo di spirituale elevazione per potere sull’esemplarità di Nuccia partecipare con la passione
di Cristo all’evento della redenzione del mondo oggi più che mai, perché questo mondo ha
bisogno dell’opera di Cristo e quindi ha bisogno dell’opera dei cristiani. Nella luce di queste
verità, temperati dalla forza della sua testimonianza, intendiamo elevare fervida la nostra
preghiera al Signore per chiedere l’aiuto del suo Spirito, perché quanti lavoreranno per questa
causa introduttiva così singolare possano sortire risultati positivi così come lo speriamo
fermamente.